sabato 5 maggio 2018

Questa giornata la abbiamo passata in tre diversi luoghi. Il primo era Ebenzee, il secondo era il Castello di Hartheim e il terzo era Mathausen.
Ebenzee non sembrava assolutamente un campo di morte, perché completamente distrutto e assente. Una cosa che però mi ha colpito molto era il fatto di vedere tante case, colorate, graziose ma di percepire tristezza e abbandono.
Sicuramente però è stato molto interessante perché la guida ci ha raccontato una sua esperienza personale e a me piace molto sentire storie di persone che in un certo senso hanno vissuto l'accaduto. Era molto bravo nel farci mantenere l'attenzione, e onestamente ero sempre più curiosa.
Il Castello di Hartheim era molto bello esternamente. Aveva un'estetica elegante che non avrebbe MAI fatto pensare che all'interno ci fosse una vera e propria fabbrica di morte. Era un segreto, nessuno era a conoscenza di quello che si svolgeva là dentro, della disperazione che si insinuava sempre più nelle menti di quelle povere persone, come frecce scoccate violentemente per lacerare la gelida e ormai quasi esaurita solidarietà. All'interno c'erano le camere a gas, enormi e spaziose, ancora buie, nonostante la delicata luce, che le faceva apparire sfocate. Quello era considerato un ospedale, una casa di cura, da cui i parenti, gli amici, le persone care, sarebbero tornate, magari in migliori condizioni. Ma chi portava i suoi cari a "curarsi" invece, li portava a morire, li spediva diretti sul sentiero oscuro del non ritorno.
Infine siamo andati a Mathausen. È stato forse il campo di concentramento che mi ha maggiormente colpito. Le baracche erano super reali, sembravano quelle antiche. Erano così ben fatte che mi sono chiesta se fossero davvero rifatte e non originali. La guida è come sempre ci ha intrattenuto e rivelandosi ogni tipo di curiosità. Le docce mi hanno fatto correre un brivido lungo la schiena mentre, non so come, le camere a gas, che dovrebbero essere un po' più inquietanti, mi hanno fatto meno senso, magari perché erano molto simili a delle semplici stanze, apparentemente innocque; magari lo sembravano anche a quei tempi. Comunque la parte che mi ha sempre sorpreso e che mi è maggiormente rimasta impressa, sono, e credo che rimarranno, i crematori. Abbiamo concluso la nostra visita percorrendo la Scalinata della Morte, dove gli ebrei erano costretti a scendere e salire, con scarpe non adeguate ne conformi alla persona, scomode e, come se non bastasse, con chili e chili, che raggiungevano quasi il peso della scarsa massa corporale del malcapitato. La abbiamo percorsa anche noi. È stato faticoso. Non mi potrò mai immaginare della sofferenza che hanno patito e subito.
Soemi Mariotti.

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